TRIBUNALE DI CROTONE 
                           Sezione civile 
             Ufficio esecuzioni e procedure concorsuali 
 
    Il giudice dell'esecuzione, dott. Davide Rizzuti, a  scioglimento
della riserva assunta all'udienza del 19 gennaio 2022, letti gli atti
della procedura espropriativa sopra indicata; 
 
                               Osserva 
 
    La  presente  procedura  espropriativa  e'  stata  promossa   nei
confronti dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Crotone ad istanza di
Medical System S.p.a. in forza di plurimi titoli esecutivi di  natura
giudiziale (d.i. n. 664/2010 di questo Tribunale e d.i. n.  4728/2016
del Tribunale di Genova) per un importo pari ad euro 1.113.325,75. 
    Nel corso del processo il terzo  pignorato  Banca  Nazionale  del
Lavoro S.p.a. (tesoriere dell'ente) ha inizialmente reso ex art.  547
del codice di procedura civile la seguente dichiarazione: «La  B.N.L.
S.p.a. per la somma assoggettata ad esecuzione non ha  apposto  alcun
vincolo  in  uscita   sulle   contabilita'   dell'Azienda   Sanitaria
Provinciale di Crotone. Fa presente che alla  data  di  notifica  del
pignoramento  le  evidenze  di  tesoreria  accese  a  nome  dell'ente
esecutato espongono un saldo contabile  debitore,  rimasto  di  segno
negativo fino alla data odierna». 
    Stante il tenore negativo della dichiarazione di  consistenza  il
creditore procedente ha promosso istanza di accertamento dell'obbligo
del terzo ex art. 549 del codice di procedura civile. 
    In tale frangente e' sopravvenuta la disposizione di cui all'art.
117, quarto comma, del decreto-legge n. 34 del  2020,  convertito  in
legge  n.  77  del  2020:  «Al  fine  di  far  fronte  alle  esigenze
straordinarie ed urgenti  derivanti  dalla  diffusione  del  COVID-19
nonche' per assicurare al Servizio sanitario nazionale la  liquidita'
necessaria  allo  svolgimento  delle  attivita'  legate  alla  citata
emergenza, compreso un tempestivo pagamento dei  debiti  commerciali,
nei confronti degli enti del  Servizio  sanitario  nazionale  di  cui
all'art. 19 del decreto legislativo  23  giugno  2011,  n.  118,  non
possono  essere  intraprese  o   proseguite   azioni   esecutive;   i
pignoramenti e le prenotazioni a  debito  sulle  rimesse  finanziarie
trasferite dalle regioni agli enti  del  proprio  Servizio  sanitario
regionale effettuati prima  della  data  di  entrata  in  vigore  del
presente provvedimento non producono effetti dalla  suddetta  data  e
non  vincolano  gli  enti  del  Servizio  sanitario  regionale  e   i
tesorieri, i quali possono disporre, per le  finalita'  dei  predetti
enti legate alla gestione dell'emergenza sanitaria e al pagamento dei
debiti, delle  somme  agli  stessi  trasferite  durante  il  suddetto
periodo; le disposizioni del presente comma si applicano fino  al  31
dicembre 2020». 
    In seguito, l'efficacia temporale  della  disposizione  e'  stata
ulteriormente  prorogata  ad  opera  dell'art.   3,   comma   8   del
decreto-legge n. 183 del 2020: «fino al 31 dicembre 2021». 
    Nelle more l'art. 117 cit.  e'  stato  oggetto  di  sindacato  di
costituzionalita' a seguito delle ordinanze  di  rimessione  disposte
dal Tribunale di Napoli, dal Tribunale di Benevento nonche'  dal  TAR
Calabria - Sezione distaccata di Reggio Calabria. 
    Alla luce  di  cio',  valorizzando  i  poteri  di  direzione  del
processo esecutivo, e' stato disposto  un  rinvio  della  trattazione
all'udienza del 19 gennaio 2022. 
    La Corte costituzionale con sentenza n. 236 del 2021,  depositata
in data 7 dicembre 2021 - richiamando altresi' i  precedenti  di  cui
alle pronunce n. 128 del 2021 (in tema di sospensione delle procedure
aventi ad oggetto l'abitazione principale del debitore) e n. 231  del
2021 (in tema di misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e
agli operatori economici, di lavoro, salute e  servizi  territoriali,
connesse all'emergenza da COVID-19) - ha dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 8  del  decreto-legge  n.  183  del
2020, limitatamente agli effetti della proroga sino  al  31  dicembre
2021. 
    Ebbene, venuta meno la causa di non  procedibilita',  all'udienza
del 19 gennaio 2022 il creditore ha insistito nell'assegnazione degli
importi  oggetto  di  pignoramento  e  cio'  in  virtu'  della  nuova
dichiarazione versata in atti del terzo tesoriere. 
    Tanto premesso, alla luce  della  documentazione  depositata  dal
creditore (e altresi' dei consolidati orientamenti di questo  ufficio
in  tema  di  accertamento  dell'obbligo  del  terzo   in   caso   di
pignoramento dei conti di tesoreria) questo giudice sarebbe  chiamato
a  pronunciare  ordinanza  di  assegnazione,  quantomeno  in  termini
parzialmente satisfattivi. 
    Ciononostante, il legislatore  e'  intervenuto  nuovamente  sulla
materia (seppur con una norma ad  effetto  territorialmente  limitato
alla sola Regione  Calabria),  introducendo  con  l'art.  16-septies,
lettera g) della legge 17 dicembre 2021, n. 215, di  conversione  del
decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 (la cui rubrica recita:  Misure
di rafforzamento dell'Agenas e del servizio sanitario  della  Regione
Calabria) una  nuova  ipotesi  di  non  procedibilita'  delle  azioni
esecutive nei confronti delle aziende sanitarie, del seguente tenore:
«Al fine di coadiuvare le  attivita'  previste  dal  presente  comma,
assicurando  al  servizio  sanitario  della   Regione   Calabria   la
liquidita'  necessaria  allo  svolgimento  delle  predette  attivita'
finalizzate anche al tempestivo pagamento dei debiti commerciali, nei
confronti degli enti del servizio sanitario della Regione Calabria di
cui all'art. 19 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n.  118,  non
possono  essere  intraprese  o   proseguite   azioni   esecutive.   I
pignoramenti e le prenotazioni a  debito  sulle  rimesse  finanziarie
trasferite dalla Regione Calabria  agli  enti  del  proprio  Servizio
sanitario regionale effettuati prima della data di entrata in  vigore
della legge di conversione del presente decreto non producono effetti
dalla suddetta data e non vincolano gli enti del  Servizio  sanitario
regionale e i tesorieri, i quali possono disporre, per  il  pagamento
dei debiti, delle somme agli stessi trasferite  durante  il  suddetto
periodo. Le disposizioni della presente lettera si applicano fino  al
31 dicembre 2025». 
    Dunque, a fronte di una situazione di potenziale sussistenza  dei
presupposti per la pronuncia dell'ordinanza di assegnazione,  occorre
verificare in quale misura la disposizione di legge sopravvenuta  sia
idonea  a  incidere  sulla  perdurante  vigenza   del   vincolo   del
pignoramento   ed,   eventualmente,   a   precludere   la   pronuncia
dell'ordinanza di assegnazione. 
    La previsione di cui all'art. 16-septies, lettera g) della  legge
17 dicembre 2021, n. 215, di conversione del decreto-legge 21 ottobre
2021, n. 146, si inquadra  nell'ambito  di  una  presa  di  posizione
politico-normativa tesa a salvaguardare  le  esigenze  di  liquidita'
della sanita' calabrese, oggetto di una perdurante crisi  generale  e
oggetto di commissariamento da  oltre  un  decennio;  purtuttavia  la
scelta  operata  dal  legislatore  evidenzia  una  plurima  serie  di
criticita' e irrazionalita' rese ancor piu' evidenti  dal  dichiarato
intento  di  assicurare   il   «tempestivo   pagamento   dei   debiti
commerciali». 
    Ritiene questo giudice che con l'introduzione di tale fattispecie
normativa  venga  in  rilievo  una  nuova   ipotesi   di   definitiva
«improcedibilita'» delle esecuzioni pendenti, in modo  non  dissimile
da quanto avvenuto con la disposizione di  cui  dell'art.  117  cit.,
prorogata nei suoi  effetti  temporali  dall'art.  3,  comma  8,  del
decreto-legge n. 183 del 2020 e dichiarata  incostituzionale  con  la
piu' volte citata sentenza n. 236 del 2021. 
    A sostegno di tale esegesi milita anzitutto il  tenore  letterale
della disposizione di legge. 
    Invero,  il  legislatore  ha  espressamente  sancito  un  divieto
generalizzato di agire esecutivamente nei confronti  degli  enti  del
servizio sanitario della Regione Calabria,  inibendo  tanto  l'avvio,
quanto l'ulteriore prosieguo delle espropriazioni in  danno  di  tali
enti, per  un  arco  temporale  estremamente  dilatato,  sino  al  31
dicembre 2025. 
    Dunque, la circostanza per cui il sopra citato  art.  16-septies,
comma 2, lettera g) abbia «nuovamente» optato  per  una  formulazione
incentrata sull'espressa previsione  di  improcedibilita'  (piuttosto
che sul meccanismo  della  sospensione)  appare  sintomatica  di  una
scelta  volta  a  configurare  una  vera   e   propria   ipotesi   di
«caducazione» del vincolo del pignoramento e non gia' un mero arresto
temporaneo dell'ulteriore corso dell'esecuzione con salvaguardia  del
vincolo  esistente.  L'evenienza  e'  resa  evidente  dalla  espressa
previsione normativa per cui  «i  pignoramenti  (...)  non  producono
effetti dalla suddetta data e non vincolano  gli  enti  del  Servizio
sanitario regionale e i tesorieri, i quali possono disporre,  per  il
pagamento dei debiti, delle somme agli stessi trasferite  durante  il
suddetto periodo». 
    La conclusione raggiunta presenta indubbi aspetti  di  criticita'
sotto il profilo costituzionale. 
    Ciononostante, non appare fuor luogo verificare la praticabilita'
di una diversa interpretazione  diretta  ad  «attenuare»  i  riflessi
della sanzione di improcedibilita' sulle procedure espropriative gia'
pendenti. 
    Nondimeno, ritiene questo giudice che  la  soluzione  al  quesito
debba essere negativa. 
    A tal riguardo non appare  fuor  luogo  condividere  e  riportare
l'orientamento  efficacemente  illustrato  dal  Tribunale  di  Napoli
nell'ordinanza di rimessione del 20 dicembre 2020 (dott.  Colandrea),
relativa all'interpretazione dell'art. 117 cit. e  sovrapponibile  in
relazione agli effetti anche norma in esame (art. 16-septies, lettera
g) cit.). 
    Invero,  si  e'  gia'  evidenziato   come   non   sia   possibile
interpretare il divieto di proseguire le procedure espropriative gia'
pendenti   nei   termini   di   una   mera   sospensione   temporanea
dell'ulteriore corso dell'esecuzione, con salvezza degli effetti  dei
pignoramenti gia' eseguiti. 
    In  secondo  luogo,  non  appare  plausibile   un'interpretazione
restrittiva della disposizione in esame che - collegando  il  divieto
del comma 2, lettera g) alle precedenti previsioni dei  commi  1,  2,
lettera da a) ad f) - limiti l'operativita' di siffatto divieto  alle
sole (maggiori) risorse finanziarie messe a disposizione del Servizio
sanitario  nazionale  per  il  superamento  della   crisi   sanitaria
regionale. Indubbiamente, il divieto di procedere  esecutivamente  si
colloca  nel  quadro  di  un   piu'   ampio   intervento   volto   ad
«incrementare» le risorse per far fronte alla necessita'  di  ovviare
al  grave  disavanzo  finanziario  del  Sistema  sanitario  regionale
calabrese (ratio espressa lungo l'intero corso dell'art. 16-septies).
Tuttavia,  in  alcun  modo  quel  divieto   e'   limitato   ai   soli
trasferimenti finanziari operati con il medesimo art. 16-septies, ne'
l'obiettivo dichiarato dal legislatore  di  assicurare  una  maggiore
liquidita' per gli enti del Servizio sanitario  nazionale  giustifica
una limitazione di tal fatta. Una tale prospettazione si  tradurrebbe
nell'elisione di una rilevante parte del contenuto  precettivo  della
norma, atteso che non avrebbe ragion d'essere ne' la  previsione  del
divieto (non solo di iniziare, ma  anche)  di  proseguire  le  azioni
esecutive. 
    Resta   da    verificare    un'ultima    opzione:    quella    di
un'interpretazione che - con riguardo ai pignoramenti pregressi - non
escluda la caducazione degli effetti (e, quindi, l'inoperativita' del
vincolo gia'  perfezionato  sulle  somme),  ma  postuli  comunque  il
carattere meramente  temporaneo  di  tale  fenomeno  sotto  forma  di
«reviviscenza» del vincolo  allo  spirare  del  termine  sancito  dal
legislatore  (ovviamente,  sulle  sole   disponibilita'   finanziarie
successive). 
    Tuttavia, neppure tale soluzione appare plausibile. 
    Anzitutto, oltre ai sopra citati elementi di carattere  letterale
e logico-sistematico deve evidenziarsi come un  fenomeno  del  genere
non solo appaia sostanzialmente sconosciuto  al  vigente  ordinamento
giuridico processuale, ma ponga soprattutto inevitabili  problemi  in
relazione alle modalita' con cui operare  la  pretesa  «reviviscenza»
del  vincolo  del  pignoramento,  essendo  difficile  ipotizzarne  il
ripristino automatico sol che si pensi alle esigenze di certezza  nei
rapporti con un soggetto  estraneo  alle  vicende  di  debito-credito
(tale essendo il terzo pignorato). 
    Una tale interpretazione sovvertirebbe  infatti  principi  propri
delle  azioni  esecutive  consentendo  la  perdurante  pendenza   del
processo  espropriativo  seppur  epurato  del  suo   effetto   tipico
sostanziale, ossia del vincolo di indisponibilita'  relativa  di  cui
all'art. 2913 del codice civile, potendo l'ente disporre delle  somme
pignorate per tutto l'arco temporale previsto. 
    In ogni caso, poi, una soluzione di tal genere  non  escluderebbe
che - stante la caducazione del vincolo del pignoramento (sebbene con
un'efficacia  per  cosi'  dire   temporanea)   -   sarebbe   comunque
paralizzato il diritto di agire esecutivamente del creditore. Dunque,
non verrebbe eliminato quel punto di  «frizione»  con  l'esigenza  di
assicurare  la  tutela  costituzionale  del  diritto  di  azione  del
creditore. 
    Le considerazioni che  precedono  comportano  che,  nel  caso  di
specie, questo giudice dovrebbe procedere non gia'  all'ordinanza  di
assegnazione,    bensi'    alla    dichiarazione    di     definitiva
improcedibilita' della presente esecuzione. 
    In conformita' alla complessiva  interpretazione  sopra  operata,
infatti, la sopravvenuta previsione dell'art.  16-septies,  comma  2,
lettera  g)  cit.,   si   risolve   nel   venir   meno   dell'oggetto
dell'esecuzione gia' intrapresa in conseguenza della  caducazione  ex
lege del vincolo del pignoramento. 
    Tuttavia, appare legittimo dubitare della compatibilita'  di  una
siffatta conclusione in relazione alle disposizioni degli artt. 24  e
111 della Costituzione in tema di tutela giurisdizionale dei  diritti
e giusto processo e cio' in virtu' di quanto rimarcato  dalla  stessa
Corte costituzionale  in  plurime  occasioni  relative  a  previsioni
legislative dirette al «blocco» di azioni esecutive nei confronti  di
determinate categorie di enti pubblici (e, in  special  modo,  quelli
del Servizio sanitario nazionale). 
    Ai  fini  di  opportuna  sintesi   appare   anzitutto   opportuno
richiamare quanto precisato nella sentenza n.  186  del  2013,  nella
quale - nell'esaminare la questione della legittimita'  dell'art.  1,
comma  51,  della  legge  n.  220  del  2010  (disposizione  che   ha
rappresentato il modello di riferimento  utilizzato  per  l'art.  117
cit. e anche nel caso di specie) -  i  giudici  costituzionali  hanno
compendiato le condizioni in presenza delle quali la  previsione  del
divieto di azioni esecutive e la  caducazione  delle  procedure  gia'
pendenti possa ritenersi compatibile con i principi degli artt. 24  e
111 della Costituzione. 
    Nelle parole della Corte un intervento legislativo di  tal  fatta
«puo' ritenersi  giustificato  da  particolari  esigenze  transitorie
qualora, per un  verso,  siffatto  svuotamento  sia  limitato  ad  un
ristretto periodo temporale (sentenze n. 155 del 2004 e  n.  310  del
2003) e, per altro verso, le disposizioni  di  carattere  processuale
che incidono sui giudizi pendenti, determinandone l'estinzione, siano
controbilanciate da disposizioni di carattere sostanziale che, a loro
volta, garantiscano, anche per altra via che  non  sia  quella  della
esecuzione  giudiziale,  la  sostanziale  realizzazione  dei  diritti
oggetto delle procedure estinte (in tal senso cfr. altresi'  sentenze
n. 277 del 2012 e n. 364 del 2007)». 
    Ancor piu' emblematiche le osservazioni della  Corte  nella  piu'
volte citata sentenza n. 236 del 2021, nella quale  -  nell'esaminare
la questione della legittimita'  dell'art.  117,  quarto  comma,  del
decreto-legge n. 34 del 2020, convertito in legge n. 77  del  2020  e
prorogato nei suoi effetti dall'art. 3, comma 8 del decreto-legge  n.
183 del 2020 - e'  stato  osservato  che:  «L'originaria  durata  del
"blocco"  delle  esecuzioni  e  dell'inefficacia   dei   pignoramenti
disposti dall'art. 117, comma 4, del decreto-legge n. 34 del 2020 era
contenuta in poco piu' di sette mesi, dall'entrata in vigore  del  19
maggio 2020 fino al 31 dicembre  dello  stesso  anno.  La  misura  si
esauriva quindi nella prima fase dell'emergenza pandemica da COVID-19
- quella piu' acuta e destabilizzante -,  allorche'  una  sospensione
indistinta e generalizzata delle procedure  esecutive  nei  confronti
degli enti sanitari poteva dirsi ragionevole  e  proporzionata,  "per
agevolare una regolare programmazione  e  gestione  amministrativa  e
contabile dei pagamenti", come si esprime la  relazione  illustrativa
al disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 34 del 2020. 
    Sono  pertanto  non  fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale concernenti l'art. 117, comma 4, del decreto-legge  n.
34 del 2020, come convertito, nella sua formulazione originaria. 
    Nonostante   l'evoluzione   dell'emergenza   sanitaria    e    la
possibilita' di ricalibrare su di essa la  programmazione  di  cassa,
l'art. 3, comma 8, del decreto-legge n. 183 del 2020 ha prorogato  la
misura in  danno  dei  creditori  per  un  intero  anno  senza  alcun
aggiornamento  della  valutazione  comparativa  tra  i  loro  diritti
giudizialmente accertati e gli interessi dell'esecutato pubblico.  In
tal modo, gli effetti negativi della protrazione del  "blocco"  delle
esecuzioni  sono  stati  lasciati  invariabilmente   a   carico   dei
creditori, tra i quali pure possono trovarsi anche  soggetti  cui  e'
stato riconosciuto un risarcimento in quanto  gravemente  danneggiati
nella salute o  operatori  economici  a  rischio  di  espulsione  dal
mercato. Costituzionalmente tollerabile  ab  origine,  la  misura  e'
divenuta sproporzionata e irragionevole per effetto di una proroga di
lungo corso e non bilanciata da una piu' specifica ponderazione degli
interessi in gioco, che ha leso il diritto di tutela  giurisdizionale
ex art. 24 della Costituzione nonche', al contempo, la parita'  delle
parti e la ragionevole durata del processo esecutivo. 
    Il protratto sacrificio imposto  ai  creditori  sul  piano  della
tutela giurisdizionale avrebbe potuto essere ricondotto a conformita'
con i parametri costituzionali ove fosse stata approntata una  tutela
alternativa di contenuto sostanziale. Se e' dubbio che questa potesse
rinvenirsi nell'anticipazione di liquidita' prevista  dall'art.  117,
comma 5, del decreto-legge n. 34 del 2020, considerato che  l'accesso
ad essa era rimesso ad un'opzione volontaria del debitore  regionale,
certo e' che il termine per la richiesta di provvista e' scaduto il 7
luglio  2020,  e  non  e'  stato  riaperto,  cosicche',  seppure   un
meccanismo compensativo sussisteva, esso e' venuto meno in regime  di
proroga. 
    Deve essere  quindi  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 3, comma  8,  del  decreto-legge  n.  183  del  2020,  come
convertito, per violazione degli artt. 24 e 111  della  Costituzione,
con  assorbimento  della  questione   di   cui   all'art.   3   della
Costituzione». 
    I principi espressi dalla Corte trovano piena applicazione  anche
al caso di specie  ove  e'  legittimo  dubitare  del  rispetto  delle
condizioni indicate. 
    Deve   invero   rilevarsi   che   l'orizzonte   temporale   della
disposizione in discorso (art. 16-septies, comma 2,  lettera  g))  e'
stato ampiamente dilatato sino a tutto il 2025, in assenza  di  alcun
meccanismo  idoneo  ad  assicurare  una  tutela  sostanziale  in  via
equivalente. 
    Occorre inoltre tener conto della ratio dell'intervento normativo
quale esplicitata expressis verbis nell'incipit del  comma  2  e  nel
comma 2, lettera g) ove si legge: «al fine di assicurare il  rispetto
della direttiva europea sui tempi di  pagamento  e  l'attuazione  del
Piano di rientro  dei  disavanzi  sanitari  della  Regione  Calabria;
lettera g) (...) al fine di  coadiuvare  le  attivita'  previste  dal
presente comma,  assicurando  al  servizio  sanitario  della  Regione
Calabria la liquidita' necessaria  allo  svolgimento  delle  predette
attivita'  finalizzate  anche  al  tempestivo  pagamento  dei  debiti
commerciali». 
    In altri termini, al precipuo fine di garantire  il  rientro  dal
disavanzo sanitario e ovviare ai perduranti ritardi nei pagamenti dei
debiti commerciali la norma intende liberare liquidita' in favore del
Servizio sanitario regionale ad  esclusivo  danno  di  quelle  stesse
posizioni creditorie che intenderebbe tutelare. 
    In tema, non puo' non evidenziarsi che  la  previsione  normativa
determina una manifesta lesione  dei  principi  cristallizzati  nelle
disposizioni di cui agli artt. 24 e 111 della Costituzione in tema di
tutela giurisdizionale dei diritti, giusto processo e sua ragionevole
durata; i creditori incisi dalla  disposizione  di  legge  in  esame,
ancorche' muniti di titolo esecutivo e benche'  parti  attive  di  un
gia'   avviato   processo   espropriativo,   subiscono   cosi'    una
irragionevole  frustrazione  delle  proprie  legittime   ragioni   di
credito, gia' frustrate  per  quasi  due  anni  dalla  causa  di  non
procedibilita' disposta con l'art. 117 cit. 
    In buona sostanza i titolari di diritti di credito verso gli enti
del  Servizio  sanitario  regionale  dovrebbero  sostenere   a   loro
esclusivo danno i costi di una improcedibilita' che  da  maggio  2020
viene ora  sostanzialmente  prorogata  a  tutto  il  2025  (di  fatto
determinando la caducazione del vincolo pignoratizio),  nella  labile
speranza che la liquidita' vincolata  a  loro  favore  in  virtu'  di
pignoramenti intrapresi  venga,  quantomeno  in  parte,  destinata  a
soddisfare le loro ragioni. 
    In pratica la norma manifesta una sorta di anomalo meccanismo  di
composizione concorsuale dei crediti del  tutto  avulso  dal  sistema
ordinamentale e scevro da qualsivoglia forma di controllo  giudiziale
sulle modalita' attuative. 
    A  questo  punto  deve  essere  ulteriormente  rimarcato  che  la
disposizione  in  esame,  limitata  nei  suoi  effetti  al   Servizio
sanitario regionale calabrese, e' del tutto analoga a quella  di  cui
all'art.   117   del    decreto-legge    n.    34/2020,    dichiarato
incostituzionale  con  sentenza  n.   236   del   2021   in   ragione
dell'ingiustificata proroga dal 31 dicembre 2020 al 31 dicembre  2021
(si riporta nuovamente il testo della norma: «Al fine di  far  fronte
alle esigenze straordinarie ed urgenti derivanti dalla diffusione del
COVID-19 nonche' per assicurare al Servizio  sanitario  nazionale  la
liquidita' necessaria allo svolgimento delle  attivita'  legate  alla
citata  emergenza,  compreso  un  tempestivo  pagamento  dei   debiti
commerciali,  nei  confronti  degli  enti  del   Servizio   sanitario
nazionale di cui all'art. 19 del decreto legislativo 23 giugno  2011,
n. 118, non possono essere intraprese o proseguite azioni  esecutive.
I pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle  rimesse  finanziarie
trasferite dalle regioni agli enti  del  proprio  Servizio  sanitario
regionale effettuati prima  della  data  di  entrata  in  vigore  del
presente provvedimento non producono effetti dalla  suddetta  data  e
non  vincolano  gli  enti  del  Servizio  sanitario  regionale  e   i
tesorieri, i quali possono disporre, per le  finalita'  dei  predetti
enti legate alla gestione dell'emergenza sanitaria e al pagamento dei
debiti, delle  somme  agli  stessi  trasferite  durante  il  suddetto
periodo. Le disposizioni del presente comma si applicano fino  al  31
dicembre 2020»). 
    In definitiva, le uniche sostanziali differenze  tra  l'art.  117
cit. e la norma di cui all'art. 16-septies, lettera g) sono: 
        l'assenza di qualsivoglia riferimento all'emergenza pandemica
da COVID-19; 
        la differente durata temporale della non  procedibilita'  che
in tale ultimo caso e' ben piu'  ampia  (oltre  quattro  anni)  degli
iniziali sette mesi previsti dall'art. 117. 
    Ebbene, questo giudice ritiene che  dal  momento  che  una  cosi'
ambigua causa di non procedibilita' non  ha  superato  il  vaglio  di
costituzionalita' per le ragioni indicate nella  riportata  pronuncia
n. 236 del 2021 (e  pur  nell'attualita'  della  crisi  sanitaria  da
COVID-19) non appare irragionevole ipotizzare una conclusione analoga
rispetto alla previsione di cui all'art. 16-septies, comma 2, lettera
g), specie considerato che gli effetti della  disposizione  di  nuovo
conio sono, come visto, ancor piu' lesivi dei diritti  costituzionali
dei soggetti coinvolti. 
    Sul punto, si ribadisce che nell'art.  16-septies  cit.  scompare
ogni riferimento agli effetti dell'emergenza epidemiologica che aveva
legittimato un limitato intervento a tutela  del  servizio  sanitario
(per soli sette mesi - cosi' Corte costituzionale n. 236  del  2021);
la ratio ispiratrice dell'intervento non e' infatti riconnessa ad una
grave e non prevedibile crisi sanitaria bensi' alla  sola  necessita'
di  favorire  il  rientro  dal  disavanzo  sanitario  della   Regione
Calabria, circostanza non certo improvvisa e ignota (bensi' ignorata)
posto che il commissariamento  della  sanita'  calabrese  perdura  da
oltre un decennio. 
    A cio'  si  aggiunga  che  la  dilatazione  del  periodo  di  non
procedibilita' sino al 31 dicembre 2025 rende lampante  l'assenza  di
una oculata operazione bilanciamento tra i vari interessi  coinvolti,
incidendo in modo diretto e sostanziale  anche  sugli  effetti  della
citata pronuncia n. 236 del 2021. 
    In relazione a tale ultimo assunto si osserva che  nonostante  le
pronunce  dichiarative  d'illegittimita'   costituzionale   producano
effetti erga omnes con efficacia ex tunc,  salvi  i  cc.dd.  rapporti
esauriti, nel caso dei creditori del servizio sanitario calabrese  la
pronuncia dichiarativa di incostituzionalita'  verrebbe,  nei  fatti,
privata  dei  suoi  effetti  sostanziali  e  cio'  poiche'  la  norma
sopravvenuta determina un sostanziale prolungamento, senza  soluzione
di continuita', di quanto disposto con la proroga di cui all'art.  3,
comma  8,   del   decreto-legge   n.   183   del   2020,   dichiarata
incostituzionale con la piu' volte citata sentenza n. 236 del 2021. 
    E' del tutto evidente che la declaratoria di  incostituzionalita'
di  cui  alla  sentenza  n.  236  sia  intervenuta  (dicembre   2021)
allorquando la norma aveva di fatto esaurito i suoi effetti (previsti
sino al 31 dicembre 2021); ne consegue che  la  disposizione  di  cui
all'art. 16-septies, comma 2, lettera g)  nel  replicare  in  termini
pedissequi il contenuto dell'art. 117 cit. determina  un  sostanziale
prolungamento  degli  effetti  di  una  norma  di  legge   dichiarata
incostituzionale, ancorche' rispetto al solo territorio della Regione
Calabria. 
    A  parere  di  questo   giudicante,   tale   limitata   efficacia
territoriale   non   rappresenta   un   presupposto    giustificativo
dell'intervento,  tale  da   consentire   un   superamento   in   via
interpretativa delle criticita' evidenziate, all'opposto evidenzia un
ulteriore elemento di frizione costituzionale rispetto  al  principio
di eguaglianza di  cui  all'art.  3  della  Costituzione  e  del  suo
corollario della ragionevolezza. 
    In tema, la giurisprudenza della Corte  costituzionale,  sin  dai
primi anni di attivita', ha affermato che l'eguaglianza «e' principio
generale che  condiziona  tutto  l'ordinamento  nella  sua  obiettiva
struttura (cosi', sentenza n. 25  del  1966)»,  nonche',  secondo  la
sentenza n. 204 del 1982, «canone di coerenza (...) nel  campo  delle
norme del diritto». 
    La  lettura  che  la  giurisprudenza  della  Corte  ha  dato  del
principio di eguaglianza - inteso in senso sia formale, quale  regola
della forza e dell'efficacia  della  legge,  sia  sostanziale,  quale
regola del contenuto della stessa - ha portato a enucleare  anche  un
generale principio di «ragionevolezza», alla luce del quale la  legge
deve regolare in  maniera  uguale  situazioni  uguali  e  in  maniera
razionalmente diversa situazioni diverse «il principio di eguaglianza
e' violato anche quando la legge, senza un ragionevole motivo, faccia
un  trattamento  diverso  ai  cittadini  che  si  trovino  in  eguali
situazioni (sentenza  n.  15  del  1960),  poiche'  «l'art.  3  della
Costituzione vieta disparita' di trattamento di situazioni  simili  e
discriminazioni irragionevoli (sentenza n. 96 del 1980)». 
    L'applicazione  di  tali  principi  al  caso  di   specie   rende
ampiamente legittimo il dubbio circa la tenuta  costituzionale  della
disposizione di cui all'art. 16-septies, lettera g)  della  legge  17
dicembre 2021, n. 215, di conversione del  decreto-legge  21  ottobre
2021,   n.   146,   rispetto   al   profilo   della    ragionevolezza
dell'intervento e  della  disparita'  di  trattamento  in  situazioni
identiche. 
    Il  principio  di  eguaglianza  e   il   suo   corollario   della
ragionevolezza guardano  al  beneficiario  del  diritto  sicche',  di
conseguenza,  del  tutto  immotivata  si  palesa  la  diversita'   di
trattamento su base regionale riservata ai  titolari  di  diritti  di
credito nei confronti degli enti del  servizio  sanitario  calabrese.
Invero,  gli  effetti  della  norma  di  legge  comportano  che   una
qualsivoglia persona, fisica o  giuridica,  titolare  di  diritti  di
credito  nei  confronti  degli  enti  del  sistema  sanitario  potra'
efficacemente agire a tutela dei  propri  diritti  in  una  qualunque
regione d'Italia (pur nella perdurante  vigenza  crisi  sanitaria  da
COVID-19) ma non se il debitore e' un  ente  del  servizio  sanitario
della Regione Calabria. 
    Ancora, un medesimo  soggetto  giuridico  che  vanti  diritti  di
credito nei confronti di plurimi enti del servizio sanitario, sedenti
in  diverse  regioni,  potra'  agire  a  tutela  dei  propri  diritti
rivolgendosi all'autorita' giudiziaria presso qualsiasi  ufficio  del
territorio  nazionale  ad  eccezione  di  quelli  calabresi,  il  cui
territorio sara' l'unico ad essere inciso da un profondo vulnus nella
tutela dei diritti e  nella  conseguente  possibilita'  di  agire  in
giudizio. 
    A cio' si aggiunga che oltre a degradare la tutela dei diritti in
un'unica regione  italiana  l'efficacia  temporale  di  tale  «blocco
sistematico» e' prevista sino al 31 dicembre 2025,  termine  di  gran
lunga superiore a quello indicato nelle precedenti norme  di  analogo
tenore,   pur   dichiarate   incostituzionali.   La   giustificazione
dell'intervento  non   trova   neppure   la   propria   fonte   nelle
imprevedibili  difficolta'  connesse  all'emergenza  pandemica  (come
avvenuto nelle altre disposizioni citate),  bensi'  nell'esigenza  di
attenuare  gli  effetti  del  fallimento  sistematico   del   sistema
sanitario, tanto nella fase di gestione in capo alla Regione Calabria
quanto nel lungo decennio di  gestione  commissariale;  il  tutto  ad
esclusivo danno dei titolari di posizioni creditorie, impossibilitati
ad agire a tutela dei propri di diritti (art. 24 della  Costituzione)
mediante avvio di un processo giusto e  ragionevole  nei  suoi  tempi
(art. 111 della Costituzione), in manifesta disparita' di trattamento
rispetto ai titolari di analoghi diritti  vantati  nei  confronti  di
enti dei servizi sanitari regionali diversi da quelli  della  Regione
Calabria (art. 3 della Costituzione). 
    In  definitiva,  le  considerazioni  che  precedono  inducono   a
configurare  come  rilevante  e  non  manifestamente   infondata   la
questione  di  legittimita'  costituzionale   dell'art.   16-septies,
lettera g) della legge 17 dicembre 2021, n. 215, di  conversione  del
decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, sotto un triplice profilo: 
        anzitutto, in  relazione  al  parametro  dell'art.  24  della
Costituzione, atteso che il «sacrificio» posto a carico dei creditori
degli  enti  del  Servizio  sanitario  regionale  (sotto   forma   di
improcedibilita' delle azioni esecutive dagli stessi  gia'  promosse)
non appare «bilanciato» con la previsione di un sistema di  effettiva
tutela equivalente, con consequenziale  vanificazione  degli  effetti
della  tutela  giurisdizionale  gia'  conseguita   nei   procedimenti
esecutivi promossi da quei creditori; 
        in secondo luogo, poi, in  relazione  altresi'  al  parametro
dell'art. 111 della  Costituzione  con  riguardo  al  concetto  della
«parita' delle armi», atteso che, con la disposizione  censurata,  il
legislatore ha finito per introdurre una fattispecie di ius singulare
che - pur originata da ragioni afferenti la necessita' di operare  un
rientro dal disavanzo finanziario - ha determinato uno sbilanciamento
fra due posizioni in gioco, esentando  quella  pubblica,  di  cui  lo
Stato risponde economicamente, dagli  effetti  pregiudizievoli  delle
condanne giudiziarie subite; 
        in terzo luogo, in relazione al principio di  eguaglianza  di
cui all'art. 3 e del suo corollario della ragionevolezza,  posto  che
la  norma  in  esame  ha  determinato  un'effettiva   disparita'   di
trattamento tra posizioni analoghe introducendo un blocco sistematico
in  un'unica  regione  del  territorio  nazionale   con   l'ulteriore
conseguenza di prolungare (rispetto ai soli creditori degli enti  del
servizio  regionale  calabrese)  gli  effetti  di  una   disposizione
normativa gia' dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 236 del
2021. 
    Nella misura in cui la disposizione dell'art.  16-septies,  comma
2, lettera g), dovrebbe trovare applicazione nel caso di specie  (con
conseguente rilevanza della questione ai  fini  del  prosieguo  della
presente procedura), pertanto, ritiene  questo  giudice  di  disporre
d'ufficio la rimessione degli atti alla Corte costituzionale  per  la
soluzione della questione di legittimita' sopra prospettata.